INTERVISTA
ESCLUSIVA
di Usul Muad'Dib Ximenes
di Usul Muad'Dib Ximenes
Francesco
Toldo e il calcio: un binomio indissolubile. Fiorentina, Nazionale,
Internazionale.
Tante
vite diverse con un unico denominatore comune: la prospettiva di una
porta da difendere come ultimo baluardo della propria squadra.
Caro
Francesco Toldo,
Prego.
Dopo la vittoria di Verona, l’Inter ha battuto sé stessa: nella
storia nerazzurra nessuno ha mai fatto meglio di Spalletti dopo
undici giornate di campionato. Meglio di Herrera, Mancini e Mourinho.
Fin dove può arrivare ?
Lasciamolo
andare. È molto difficile fare delle previsioni ma l’entusiasmo
porta entusiasmo. Spalletti è persona che conosce molto bene il
calcio italiano nei suoi equilibri e nelle sue fasi. È un po’ come
quel che accade sui mercati azionari con i rialzi e i ribassi. Adesso
abbiamo il vento in poppa e come naturale ci saranno dei momenti
buoni e, speriamo siano pochi, momenti meno buoni. Lasciamo che
Spalletti continui tranquillamente il suo lavoro e i complimenti li
faremo più avanti.
Che cosa spinge un ragazzo ad optare per giocare in porta? Da piccoli
solitamente si spediva in porta il meno dotato tecnicamente.
Che
giocatore di movimento era il giovanissimo Francesco Toldo?
È
un po’ uguale la storia dei vari portieri. È vero che si spinge in
porta quello meno dotato tecnicamente ma al contempo è spesso il più
dotato fisicamente. Una linea comune a tutti i grandi portieri è la
“non voglia di correre”. Inoltre il ruolo impone dei movimenti
talmente diversi da quelli degli altri giocatori in campo che porta a
distinguerti un po’ dal gruppo. La molla scatta quando il ruolo ti
appassiona e comincia a piacerti. Penso al gesto tecnico del tuffo,
alla possibilità di usare le mani impedita ai giocatori di
movimento. Se la scintilla scatta quando sei ragazzino è un po’
come innamorarsi: ti fa amare questo sport e da quel momento prosegui
su un binario quasi parallelo rispetto al resto della squadra.
Lei di fatto assaggia il professionismo nel Milan senza aver giocato
coi rossoneri nemmeno un minuto.
Esplode
a Firenze e spende i successivi nove anni di carriera all’Inter. Fu
un’estate parecchio movimentata quella del suo trasferimento a
Milano. Si ricorda come andò e perché alla fine scelse proprio
l’Inter?
Il
Milan mi prese quando ero un ragazzino nel 1986 dal Montebelluna
nell’ambito di una trattativa che coinvolse altri due giovani.
Non
ho mai avuto pretese con la prima squadra perché ero nella berretti
e nella primavera. Un tempo si usava mandare subito in prestito i più
promettenti per fare esperienza. Non mi interessava assolutamente la
presenza in serie A con il Milan.
Quanto
al mio trasferimento in nerazzurro, è vero che quell’estate, con
la Fiorentina in difficoltà economica e costretta a vendere i propri
campioni, stavo per firmare con il Barcellona. In
quel momento si inserì il Parma che mi voleva acquistare: ma dissi
subito no perché volevo andare in una grande squadra. Il Parma
all’epoca lo era però non mi interessava andare dalla Fiorentina
al Parma. Volevo fare il
grande salto. Arrivò all’improvviso l’Inter che chiuse la
trattativa in un batter d’occhio
con il presidente Cecchi Gori facendo un’offerta irrinunciabile e
migliore di quella del Barcellona. Ho così deciso di proseguire in
Italia facendo una scelta che mi ha premiato nel tempo.
Cùper, Zaccheroni, Mancini, Mourinho: alias, i suoi tecnici
all’Inter. Ci potrebbe descrivere telegraficamente pregi e difetti
di ciascuno di loro?
Cùper
con il suo battito della mano sul cuore ti responsabilizzava. Aveva
il pregio di essere un “responsabilizzatore”.
Quanto al difetto, diciamo
che non impazziva per la
tattica di cui non era attento analista e cultore.
Zaccheroni
un romagnolo verace. E considero questo aspetto un pregio. Era
ben calato nella parte cercando sempre il dialogo con i giocatori.
Unico difetto è il fatto di essere stato allontanato dopo troppo
poco tempo. Più una sfortuna che un difetto nel suo caso.
Mancini,
tra i vari allenatori avuti, è quello che fa giocare meglio la
squadra e cura particolarmente la tattica. E difetti.. Mmm (lunga
pausa nella quale, sorridendo, dico a Toldo che volendo può
sorvolare)… Volendo trovare un
difetto direi che se non fai parte del suo gruppo fai fatica ad
entrarci e diventa complicato
costruire e sviluppare con lui un rapporto umano.
Josè
Mourinho un uomo vero. Uno psicologo. Quanto
ai difetti, quando lui la vedeva in un certo modo era difficile che
cambiasse idea ritornando sui suoi passi. Ti diceva ciò che pensava
ed era difficile fargli cambiare idea.
Con Roberto Mancini lei ha avuto un rapporto in chiaroscuro. Fu di
fatto il tecnico che scelse per il ruolo da titolare prima Alberto
Fontana e poi Julio Cesar.
La
domanda è: avrebbe tranquillamente trovato altre squadre pronte a
fargli ponti d’oro e a garantirle un posto da titolare. Cosa la
spinse a scegliere di rimanere da secondo portiere?
Innanzitutto
non mi sentivo un secondo portiere. E anche se decisi di farlo, fu
una scelta dettata dalla convinzione che insieme avremmo vinto. La
mia idea non era quella di giocare assolutamente o di volere a tutti
i costi il posto da titolare. Siamo riusciti a vincere anche perché
i campioni si sono messi a disposizione della società e della
squadra. E, insieme a me, in squadra ce n’erano almeno sei che
sarebbero potuti essere inamovibili in tutte le grandi squadre
europee. Però si era creata quell’alchimia che ti portava a dire
“Io mi sacrifico nell’interesse del gruppo”. Il che ovviamente
non significa che chi stava fuori non facesse la propria parte. Anzi,
in questo modo la competizione si è alzata all’interno del gruppo.
Ciò che mi ha spinto a rimanere all’Inter fu proprio la
convinzione viscerale che avremmo vinto. Me lo sentivo così
fortemente che mi dissi: “No, non voglio accettare il Benfica, il
Bayern di Monaco, il Liverpool, la Roma e tutte le altre squadre che
mi avevano richiesto in maniera davvero forte. Rimango perché so che
all’Inter vincerò.” È
stata una scelta personalissima anche a discapito della mia carriera.
Handanovic è portiere dell’Inter dal 2012 ed è pacificamente
riconosciuto come uno dei migliori interpreti del ruolo in Europa.
Tuttavia, negli anni, a causa dei risultati spesso deludenti, ha
manifestato più volte l’intenzione di sposare altre cause
sportive.
È
possibile per un professionista divenire simbolo di una squadra senza
sentirne l’appartenenza?
In
realtà io penso che senta molto l’appartenenza alla squadra. Sono
state più speculazioni giornalistiche che spingevano Handanovic
lontano dall’Inter che la reale volontà dello stesso di andarsene.
In fondo ha sempre rinnovato il suo contratto rimanendo in un periodo
avaro di vittorie e fornendo prestazioni di altissimo livello a
conferma della sua grande professionalità.
Esiste, oggi, un portiere in Italia o all’estero che le ricorda il
giovane Francesco Toldo e sul quale scommetterebbe ad occhi chiusi?
Io
seguo marginalmente il calcio italiano. Però Donnarumma ha le
caratteristiche per assomigliarmi, in primis fisicamente con
quel 48 di piede. Io sono arrivato un po’ più tardi di lui, a 23
anni, ed in questo è più simile a Buffon. Ma a livello fisico e di
movimenti vedo tante similitudini tra noi.
Domande dei nostri lettori
Il signor Ettore Ximenes, dal Belgio, chiede: che valore ha avuto per lei, sotto l’aspetto umano e
professionale l’esperienza con Inter Campus?
Inter
Campus è stata
un’esperienza stupenda della mia vita che
mi ha permesso di conoscere
ed approcciarmi
ad un progetto sociale di così ampio respiro. In
giro per il mondo sono venuto a contatto con realtà meno fortunate
rispetto alla nostra e grazie all’Inter ho visto restituire il
diritto al gioco a tanti bambini meno fortunati: qualcosa che ti
porta la felicità dentro.
La signora Elisa Angelotti vorrebbe chiederle: quale partita è stata per lei più significativa durante la sua esperienza all’Inter?
Le
partite che permettono al portiere di uscire contento dal terreno di
gioco sono quelle giocate senza sbavature e non necessariamente
quelle in cui fai mille interventi o pari tre rigori.
A
me piace ricordare sempre il gol che ho segnato alla Juventus nel
2002. Anche se poi il gol lo assegnarono a Bobo Vieri (ma con le
regole attuali lo avrebbero assegnato a lui) fondamentalmente lo
sento come fosse mio. Ricordo nitidamente che prima della partita
dissi a Cùper: “Guardi Mister che se per caso stessimo perdendo
per 1-0, all’ultimo calcio d’angolo io mi spingerò in
avanti.” Mi disse “sì” in modo convinto. E così è successo.
Non ricordo a memoria sia mai capitata ad un altro portiere una cosa
simile in una partita tanto importante. Ancora adesso quando mi
capita di rivederla mi diverte e mi metto a ridere.
Daniele
Liggi da Vallermosa chiede invece: che cosa ha pensato quando durante
l’Europeo del 2000, nella sfida con l’Olanda, fischiarono il
secondo rigore contro l’italia?
In
quel momento ho pensato che avrei parato loro qualunque rigore mi
avessero calciato contro. Quel giorno avevo talmente tanta energia e
forza dentro di me da riuscire in qualche modo a condizionare gli
avversari. Dopo il primo rigore sbagliato da De Boer, c’è stato il
secondo sbagliato da Kluivert durante la partita. Proprio kluivert
era il più pericoloso. Prima della sua esecuzione c’è stato tra
noi un giochino di sguardi in cui io rimasi fermo per non dargli
punti di riferimento: alla mia prima mossa lui infatti avrebbe
cambiato direzione. Invece rimanendo fermo fino all’ultimo istante,
senza interrompere il contatto visivo con lui, l’ho quasi costretto
ad angolare la conclusione quel tanto sufficiente a mandarla sul
palo.
Ultima sull’Inter: lei che ha vissuto in prima persona l’ultima
Inter protagonista in Italia ed in Europa può dirci quanto e cosa
manca all’Inter di oggi per tornare ai fasti del triplete?
Il
triplete è stato l’ideale punto di arrivo dopo anni di
programmazione da parte della società. Nessuno avrebbe potuto
preventivare e pensare a qualcosa del genere. Il 2010 rimarrà l’anno
più fantastico dell’Inter. La società attuale sta compiendo passi
in avanti ma nessuno potrà mai garantire il triplete perché
richiede la stagione perfetta. Soprattutto in Champions, basta un
niente per uscire, pur essendo magari molto più forti, ed essere
eliminati dalla competizione. Ma garantisco che con i mezzi attuali
si vuole arrivare a quei livelli in tempi brevi. In due-tre anni
l’Inter ritornerà stabilmente tra le grandi d’Europa restandoci
per lungo tempo.
L’intervista
è giunta al termine. Se la sentirebbe di mandare un saluto agli
amici di Interismi Inusuali?
Assolutamente.
Con l’invito a seguire ancora più assiduamente le vicende della
nostra meravigliosa squadra neroazzurra perché ci darà
soddisfazioni non dissimili a quelle del recente passato. Così come
vi invito a seguire il progetto Inter Forever, che dipende dal
sottoscritto, e che permette di far vedere grandi ex campioni che
hanno reso grande la storia dell’Inter.
Si
ringraziano Francesco Toldo e l’Ufficio Stampa di F.C.
Internazionale per la cortesia e per la disponibilità.
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