di
Usul Muad’Dib Ximenes
Antonio
Valentin Angelillo è scomparso
in assoluta discrezione alla maniera dei signori di una volta. Aveva
compiuto ottant’anni da pochi mesi.
In
quella circostanza Sandro
Mazzola
in esclusiva per questo Blog ( https://goo.gl/KTvTu6
)
ci raccontò di lui come “un
giocatore fantastico capace di segnare gol dopo aver scartato in
solitaria l’intera squadra avversaria”.
Arrivò
all’Inter giovanissimo dall’Argentina con due baffetti in stile
Clark Gable. Gli inizi stentati e un po’ di malinconia.
Per
amore (di
una ballerina)
comincio a segnare a raffica. Nel 1958-1959
stabilì un record di gol in
campionato
superato solo in tempi recenti dal connazionale Higuain.
L’idillio
coi colori nerazzurri era fortissimo. Ma anche quel fuoco finì.
Entrò quasi subito in contrasto con il sergente Herrera
che mal digeriva chi rivaleggiasse con lui in personalità e
visibilità.
Troppo
rigido il Mago o c’era del vero nelle voci di scarso rendimento
legate alla sua presunta “dolce vita”?
Se
ne parlerà per decenni senza riuscire mai ad arrivare ad una verità
pacifica e condivisa.
Il
suo trasferimento alla Roma spalancò le porte dell’Inter a un
certo Luisito Suarez, sbarcato a Milano per la cifra record, di
allora, di 300 milioni di lire: intorno al suo metronomo prediletto
Herrera costruirà la squadra leggendaria capace di vincere ovunque.
Ma
il filo sottile che legò Angelillo ai Moratti non si spezzò mai.
Così quando il figlio di Angelo torno
all’Inter per emulare i successi
del
padre, rivolle con sé il vecchio campione stavolta come osservatore.
Fu
in quelle vesti a scoprire un giovane terzino argentino, Saverio
Zanetti,
che avrebbe poi
infranto tutti i record di presenze nell’Inter e nella nazionale
albiceleste.
A
dimostrazione che il talento, quello vero, te lo porti dentro anche
quando smetti di inseguire e dare calci a un pallone.
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