di
Usul Muad’Dib Ximenes
Brillano
le mille luci del Meazza che scaldano idealmente una serata
fredda e tipicamente milanese di inizio gennaio.
I
flash dei fotografi e i coriandoli circondano mister Vecchi ed i suoi
ragazzi stretti come una giovane tribù. Eccola la Supercoppa che
fa sorridere il pubblico nerazzurro sparuto e famelico di gioie
dopo i fasti del Triplete. È un trofeo che emette mille riflessi
dal suo cratere argentato quello brandito dalle giovani mani di
questi virgulti interisti della pedata.
In
seconda fila si scorge il volto glabro e fanciullesco di un bimbo
venuto dall’altra parte del mondo. Ci ha pensato lui a
riportare lustro e sorriso nello stadio che ammirò le gesta di
Mazzola, Ronaldo e Milito. Due gol spalmati agli
estremi di 120 tiratissimi minuti. Il primo dopo una palla
riconquistata a metà campo e poi rifinita dopo averla sapientemente
accompagnata. Ed il secondo, a pochi secondi dalla lotteria
dei rigori, con una girata acrobatica in mezzo a tante maglie
avversarie.
Il
destino di Colidio risiede nel nome che porta. Un discendente
di quegli europei che abbandonarono il vecchio continente in cerca di
fortuna nel nuovo mondo.
Facundo
ha origini gentilizie e deriva dal latino Facundus: colui
che parla bene. Un giovane predicatore del gol i
cui piedi favellano come violini e che non dimentica l'importanza
di chi gli sta accanto:
“Adesso
sono troppo felice. Ho fatto due gol grazie a tutta la squadra”
- dirà subito dopo aver deciso la gara che gli ha regalato il primo
alloro con i colori nerazzurri.
Sorride
con la meraviglia del bambino e la consapevolezza di un adulto che
spera di arrivare molto, molto lontano.
Parole
e musica dal Vangelo secondo Colidio. O, meglio, “GOLidio”.
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