di
Usul
Muad’Dib Ximenes
La
domanda è sulla bocca di molti tifosi: di chi i meriti di questo
esaltante (e inaspettato) primo quarto di campionato dell’Inter?
Secondo
un vecchio adagio la vittoria è figlia di molti padri e la sconfitta
solitamente dell’unico che paga quando le cose non vanno bene:
l’allenatore.
Partirei
proprio da questa considerazione. Nel Post Triplete l’Inter ha
cambiato 11 allenatori: almeno una volta e mezza a
stagione.
Luciano
Spalletti ha preso l’Inter nel periodo più delicato possibile:
squadra reduce da una stagione che l’ha relegata fuori da tutte le
coppe, organico che andava pesantemente ritoccato al rialzo in molti
ruoli, mercato bloccato dal fair play finanziario e dal governo
cinese. Col dovere esplicito di riportare la squadra tra le prime
quattro della classe per riascoltare la musichetta della Champions
League. Un po’ come chiedere ad un esercito di uomini con lance
e pietre di sfidare e sconfiggere reparti dotati di fucili e
mitragliatrici.
Dopo
quattro mesi di duro lavoro individuale e collettivo, i tifosi si
stropicciano gli occhi di fronte a tanta grazia: modulo e progetto
di gioco definiti; giocatori coinvolti che rendono il
doppio delle abituali medie degli anni passati; tre dei nuovi
arrivati già perfettamente integrati e decisivi; risposta
del pubblico allo stadio da applausi. E un ritrovato appeal
che servirà per attirare quei calciatori capaci di migliorarti.
Probabilmente
il vero quesito dovrebbe essere il seguente: dove sarebbe adesso
l’Inter se al posto di Spalletti fosse arrivato qualunque altro
allenatore diverso da lui?
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