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Cicala e formica: la voce del cuore e quella della ragione




di Usul Muad’Dib Ximenes

Non si vince da sei gare, i musi lunghi si accentuano e il sorriso rassicurante dello Spalletti messianico di qualche mese fa ha lasciato posto al viso corrucciato delle ultime delusioni post partita.

Dopo Inter-Roma, lo specchio delle ambizioni restituisce al supporter interista dei riflessi contrastanti e dubbiosi.

Ci eravamo forse illusi un po’ tutti. E non è peccato.

Un vecchio adagio sostiene che quando si intraprende un cammino occorre sempre mirare lo sguardo all’orizzonte davanti a sé. Ma non esiste percorso esente da da dubbi ed incertezze: è quello il momento in cui fermarsi a riflettere e voltarsi metaforicamente ripensando a ciò che ci si è lasciati alle spalle. Lo scorso campionato si avvicendarono cinque allenatori sulla panchina interista. Una mattanza tecnica, economica e di prestigio conclusasi con la squadra fuori da tutte le coppe.

Si è ripartiti con un tecnico di spessore che ha accettato una sfida impegnativa di partenza cui si sono aggiunte ulteriori difficoltà fin da subito: rubinetti chiusi dal Fpf e da Pechino e addio gloria sul mercato.

Tutti, Spalletti per primo, hanno fatto e fanno di necessità virtù. La squadra è incompleta, ultimamente involuta, non gioca bene e non vince. Ma è esattamente dove ad agosto si sperava potesse essere.

La necessità della Champions si accompagna a quella non meno impellente del pareggio di bilancio nell’esercizio in chiusura il 30 giugno 2018. Il semaforo verde che aprirebbe le porte della prigione del Settlement Agreement liberando sogni e risorse per l’avvenire.

I tempi da cicala sotto la gestione Moratti, di cui ancora oggi si pagano certi eccessi, sono finiti e non torneranno più.

I tempi impongono la necessità di far di conto come le formiche, coniugando i desideri del cuore con le possibilità, più materiali e prosaiche, del portafogli della Ragione.


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