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INTERVISTA A SANDRO MAZZOLA




di

Usul Muad’Dib Ximenes

Gentile Signor Mazzola,

mi permetta anzitutto di ringraziarla per aver accettato l’intervista.

Si figuri. E’ un piacere”

Domenica è scomparso il tecnico che per quasi 10 anni potè fregiarsi del titolo di “ultimo allenatore scudettato dell’Inter”. Eugenio Bersellini. Caso volle che fu anche il primo tecnico con cui lavorò non appena terminata l’attività agonistica nel 1977. Ebbe un ruolo sulla scelta dell’Eugenio o fu una decisione presa personalmente da Mr. Ivanoe Fraizzoli?

Ha buona memoria. Fu una scelta interamente mia. Nelle more del ritiro studiavo già da dirigente in pectore e ritenevo che Bersellini fosse il profilo giusto per l’Inter. Quando andai dal Presidente (Fraizzoli, ndr) a parlargli della mia scelta lui mi rivolse uno sguardo enigmatico e mi disse: “Va bene. Ma ricorda che io voglio vincere..”

Parliamo di un calcio completamente diverso da quello attuale. Quasi un universo ed uno sport totalmente differente. Quello di oggi globalizzato con calciatori di ogni parte del mondo che giungono nei principali campionati europei fin da tenera età. Quello di ieri essenzialmente autarchico. Rileggo l’undici dell’Inter che vinse il campionato 1979-1980. Un gruppo di soli italiani e tra questi per la maggior parte provenienti dal settore giovanile di casa. Lei che può essere paragonato ad un Hihlander tra i dirigenti sportivi italiani e che ha cavalcato da protagonista diverse ere del calcio nostrano, può dirci quanto fu difficile costruire un gruppo vincente con una così ristretta possibilità di scelta? Che ricordi ha di quella squadra?

Io direi più facile. Tenga presente che l’Inter a quel tempo aveva un fascino che le consentiva di attirare molti giocatori. Io per lavoro mi spostavo e viaggiavo molto. Avevamo osservatori sparsi in tutta Italia che ci consentivano di arrivare spesso per primi sui migliori giovani in circolazione.
Quello della stagione 1979-1980, fu uno scudetto indimenticabile. Uno scudetto per così dire “fatto in casa”. Pensi che alcuni di quei giocatori li scovammo da bambini presso gli oratori d’Italia. Per un dirigente la soddisfazione di vedere questi bambini crescere per affermarsi campioni con la maglia dell’Inter è stato indescrivibile.

Un vizio ed una virtù del Bersellini uomo e tecnico. Ricorda uno screzio o un aneddoto particolare con lui? Se sì, può raccontarcelo?

A distanza di anni non ne ricordo. E questo probabilmente perché non ne aveva. Professionista esemplare. Impeccabile nei rapporti con la società. Severo ma al tempo stesso bonario come un padre con i giocatori.

In che rapporti è con Antonio Valentin Angelillo?

Non lo sento da un po’. Non so nemmeno se attualmente dimori o meno in Italia.”

Recentemente, per il suo ottantesimo compleanno, ha riservato parole di fiele per Helenio Herrera affermando, riporto testualmente, “ Herrera non capiva nulla di calcio. Era solo un buon preparatore”.

(sorriso in sottofondo) - “É un birichino. Deve sapere che Angelillo è stato uno dei miei preferiti. Ricordo una partita in cui lui scartò in solitaria praticamente tutta la squadra avversaria per poi saltare il portiere e depositare il pallone a porta vuota. Giocatore fantastico.

È conclamata l’importanza di Herrera nella carriera di Sandro Mazzola. La fece esordire in serie A in quel di Torino contro la Juve di Sivori. La impose in squadra e contribuì in maniera decisiva alla sua affermazione nel calcio che conta.

Pensa che sarei troppo esigente se le domandassi, per un attimo, di sorvolare sulla riconoscenza che immagino proverà per sempre nei confronti del mago per valutare in maniera analitica ed oggettiva le affermazioni di Angelillo?

Ergo, può definirsi solo un buon preparatore l’uomo capace di costruire pezzo per pezzo, nelle individualità e nei ruoli l’Inter più vincente di sempre in Europa e nel mondo? ( e nel chiederglielo non posso non pensare al giovane Mazzola che volle come trapano puntato sulle difese avversarie, ma anche a Picchi libero, Guarneri stopper, Facchetti terzino d’offesa)

È un’affermazione che non posso condividere. Herrera era preparatissimo ed avanti anni luce rispetto ai suoi tempi. Durante la settimana ci parlava singolarmente e poi collettivamente dei pregi e dei difetti dell’avversario di turno. Era meticolosissimo. Sarò sempre grato ad Helenio per tutto ciò che sono diventato e ho fatto come calciatore professionista. Quanto ai suoi screzi con Angelillo posso dirle questo: si è parlato molto dei suoi problemi con Herrera ma non ho mai ben capito che cosa accadde tra di loro. Alla fine di quell’anno (stagione 1960-1961 – ndr) le distanze tra loro divennero incolmabili e il suo rendimento (parla di Angelillo) ne risentì al punto che nessuno si stupì della sua partenza. Forse Helenio non era il tecnico giusto per Angelillo e viceversa. Succede più spesso di quanto lei immagini.”

Mi ero imposto temperanza nel porle domande. Devo confessare che lei è la prima persona che intervisto come aspirante giornalista. Il mio direttore mi ha lasciato discrezionalità ed io ho subito avuto in mente lei. Il mito di mio padre Walter e per osmosi genetica - esistenziale anche il mio.

(risata ampia e compiaciuta in sottofondo) - “Porga al papà un saluto di stima reciproca dal suo vecchio campione”

Digressione a parte, ho qui davanti a me un volume sull’Inter scritto da Filippo Grassia. Alla pagina n° 143 è presente una gigantografia con due campioni: a sinistra uno recentemente ritiratosi dall’attività agonistica per intraprendere quella dirigenziale (lei) mentre stringe la mano ad uno destinato a diventare gradissimo. Indovina chi è?

Non saprei. Forse Beppe Bergomi?”

Le do qualche indizio: 1979 circa. Uffici di Ivanoe Fraizzoli. Un sorridente ragazzo francese di origini italiane ha appena firmato il contratto che, complice l’imminente riapertura delle frontiere nel calcio italiano, gli avrebbe consentito di giocare nell’Inter.

Parlo di Michel Platini.

Non le chiedo di dirmi che cosa sarebbe potuto accadere se si fosse dato corso a quel precontratto.

Le chiederei semplicemente di rivelare cosa ricorda di quei frangenti. I retroscena che portarono al dietrofront. Ma soprattutto: cosa passa nella testa di un dirigente capace di mettere sotto contratto un campionissimo per poi vederlo andare a fare le altrui fortune causa divergenze con il Presidente?

Lei mi infligge una sofferenza, sa? Ero andato in Francia a vedere un altro giocatore. Caso volle che nella squadra avversaria giocasse questo giovanotto. Non lo prendeva nessuno e già allora faceva cose straordinarie. Andai a trovarlo a casa sua. E scoprii che la madre di Michel era una mia grande ammiratrice e tifosa. Trovammo l’accordo in breve e posso dirle che Platini era felicissimo di venire a giocare all’Inter. Ma ci fu un intoppo. La Federazione procrastinò di un anno la riapertura delle frontiere. Di fronte a questo imprevisto Platini era disponibile ad allungare di un anno l’impegno contrattuale dietro ovviamente la corresponsione di un riconoscimento pecuniario che già avevamo provveduto a versargli anche per l’anno precedente. Eravamo d’accordo su tutto. Ma quando andai dal presidente Fraizzoli mi raggelò dicendomi (lo imita con accento marcatamente milanese): “Dobbiamo pagare un giucatore per stare da un’altra parte?”

Così non se ne fece nulla e lui (parla di Fraizzoli) decise in autonomia di virare su quel brasiliano (Juary - ndr) di cui nemmeno ricordo il nome e che preferisco non ricordare”.

A posteriori riprese mai il discorso con Fraizzoli?

Non me ne parli. Almeno fosse andato al Manchester United o all’estero! Quando arrivò alla Juventus e fece quel che poi fece, andai dritto da Fraizzoli e gli dissi: Le accetta o no queste dimissioni?

Ricomponemmo a fatica quello strappo. Prevalse l’amore per l’Inter. Ma ogni volta che andavamo in trasferta a Torino a giocare con la Juve ed ogni volta che loro venivano in trasferta da noi, Michel veniva subito a cercarmi a bordocampo ed in tribuna col sorriso stampato sul volto per salutarmi e abbracciarmi: “Allora, vi siete pentiti di non avermi preso?”. Un personaggio straordinario dentro e fuori il rettangolo di gioco.

Siamo giunti alla fine. E lei è stato un tempio di pazienza e disponibilità. Se non ho esaurito completamente i bonus mi permetterebbe in futuro di disturbarla ancora?

Può cercarmi quando vuole. Sarà un piacere riceverla ed ascoltarla.


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