di
Usul Muad’Dib Ximenes
Ventisei
punti dopo dieci partite di campionato:
solo in tre circostanze l’Inter è stata capace di un bottino così
consistente. L’ultima volta nel 1997. Era l’Inter di
Gigi Simoni, Simeone ed un certo.. Ronaldo.
Il
merito è per grandissima parte di Luciano Spalletti. Ha
ereditato una squadra spenta e depressa da tante delusioni vincendo
con entusiasmo e duro lavoro quotidiano le oggettive difficoltà del
fair play finanziario, del
blocco degli investimenti imposto
da Pechino e dello
scetticismo dei tifosi per una
squadra che dopo la chiusura del
mercato continuava ad essere
incompleta e senza valide
alternative ai titolari.
Ma
lui non ha fatto mai una piega. Mai una lamentela. Mai un ultimatum.
Ha da subito imposto regole
ferree e cultura del lavoro insistendo su un preciso modulo base.
Come un naufrago ha fatto di necessità virtù,
recuperando alla causa giocatori dati per finiti come Nagatomo
e trasformando onesti comprimari come D’ambrosio
in pedine fondamentali. Ha preteso Borja Valero
e Vecino avallando la
scelta di Ausilio e Sabatini di spendere tanti soldi per Skriniar
il cui valore e la cui importanza cresce di momento in momento. Per
non tacere di Icardi
più maturo e prolifico che mai e Perisic
che da sicuro partente si è confermato perno imprescindibile.
Il
grande poeta Giovanni Pascoli
era solito affermare
che in ogni uomo c’è
un fanciullino.
Vale a dire la capacità di
entusiasmarsi per le piccole cose. Lo stesso spirito che alberga
negli occhi del tecnico interista quando parla in conferenza stampa e
gesticola durante le partite. O quando accarezza e coccola i suoi
giocatori come se gli appartenessero. Quasi fossero veramente figli
suoi.
In
attesa di maggio ha già conquistato un piccolo scudetto colorandolo
di entusiasmo.
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