di
Usul Muad’Dib Ximenes
Nel ventennale della sua scomparsa, la città di Milano ha finalmente reso omaggio ad uno di quei
forestieri che hanno contribuito a renderla celebre in Europa e nel
mondo.
È difficile parlare di Helenio
Herrera senza rischiare di cadere nella retorica propria del mito.
Innovatore, precursore,
presuntuoso, volitivo. Vincente. Il più vincente nella storia
dell’Inter insieme a Roberto Mancini. Ma la sua fu vera gloria. Tre
campionati, due Coppe dei Campioni di fila accompagnate da
altrettanti allori intercontinentali negli stessi anni. Capace di
costruire insieme al carisma di Angelo Moratti e al genio di Italo
Allodi una squadra che segnò la propria e le successive generazioni.
Unica capace, a posteriori, di vedersi aggettivare come Grande alla
stregua dei colossi della Storia come Alessandro e Carlo Magno.
Ed il capomastro di quella squadra
di falegnami ed ebanisti con distillati di classe assoluta era
proprio lui. Helenio da Buenos Aires. Godeva di una profonda
autostima che lo portava a trascendere nell’arroganza attirandosi
spesso censure da stampa e avversari. “Yo soy perfecto” replicava
come un mantra, nel suo slang maccheronico di italiano e spagnolo, a
chi gli faceva notare i suoi eccessi.
Ma questo non gli impedì di
vincere imponendo, in anticipo di diverse decadi, la cura per la
preparazione fisica esaltando l’aspetto motivazionale del singolo e
del collettivo. Picchi, Facchetti, Guarneri, Mazzola, Suarez. Il
primo lo volle libero e leader carismatico in campo. Giacinto e
Mazzola i giovani alfieri pescati dal settore giovanile. Guarneri
plasmato come stopper elegante e moderno. Suarez l’allievo
prediletto venuto da Barcellona a predicare il verbo herreriano.
Il calcio italiano di allora e di oggi gli deve qualcosa. Anche coloro che nel tempo hanno tentato di minarne il prestigio con schizzi di fango e di doping. Nessuno potrà mai sapere con certezza cosa ci fosse nel caffè che proponeva ai giocatori. Forse zucchero. Forse altro. O forse semplicemente caffè. Sarebbe stato degno del personaggio influenzare la psiche dei propri giocatori facendo loro credere di bere la pozione di Asterix capace di renderli invincibili. La riconoscenza non è di tutti e l’invidia è il naturale tributo da pagare alla Grandezza. Quella maiuscola. HELENIO HERRERA.
Il calcio italiano di allora e di oggi gli deve qualcosa. Anche coloro che nel tempo hanno tentato di minarne il prestigio con schizzi di fango e di doping. Nessuno potrà mai sapere con certezza cosa ci fosse nel caffè che proponeva ai giocatori. Forse zucchero. Forse altro. O forse semplicemente caffè. Sarebbe stato degno del personaggio influenzare la psiche dei propri giocatori facendo loro credere di bere la pozione di Asterix capace di renderli invincibili. La riconoscenza non è di tutti e l’invidia è il naturale tributo da pagare alla Grandezza. Quella maiuscola. HELENIO HERRERA.
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