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Il bambino e il campione: breve storia di un incontro tra interisti inusuali



di Usul Muad’Dib Ximenes

L'esercizio più difficile per un bambino è quello di conciliare lo spirito del fanciullo con quello del tifoso.

Specie quando i tuoi otto anni coincidono con una generazione di campioni specchiata sul talento di Maradona, Van Basten e Gullit che fanno meraviglie nelle altre squadre di vertice mentre tu parteggi per un'Inter alterna nelle fortune e nei risultati.

Ed in questo contesto, ci sono annate che ti restano dentro come il bacio del primo amore che non scordi mai.
Così fu per lo scrivente il 1988-89, anno di Panzer e di record vergati dalla squadra che aveva in Serena terminale capace, come Icardi nei giorni nostri, di trasformare in oro con testa, destro e sinistro tutto ciò che toccava.

Un giocatore che ha partecipato con i suoi gol alla stesura di pagine indelebili di quella storia bellissima ed infinita chiamata Inter e che sabato sera ha contribuito a scriverne una non meno bella sfidando divieti, impegni di lavoro e difficoltà di ogni genere pur di salutare e stringere la mano a quel bambino del 1989 divenuto nel frattempo l’ultimo e più modesto dei cronisti.

Se è vero che un pallone può farti diventare campione, la vera sfida comincia quando le luci della ribalta si spengono imponendoti la sfida più difficile della quotidianità fuori dal campo.

Un avversario molto più ostico che si può affrontare con l’arroganza e la superbia del tempo che fu o, come Aldo Serena, con quella misura di disponibilità e cortesia capace di renderti un campione sul rettangolo di gioco ed un fuoriclasse su quello, più virtuoso, della Vita.



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