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Rifondazione Italia e quella pericolosa tentazione di protezionismo



di Usul Muad’Dib Ximenes

Lo shock, inteso come sorpresa dal gusto amaro di una medicina poco saporita, è grande malgrado non fosse totalmente inaspettato.

Italia di nuovo fuori dai mondiali di calcio e son passati sessant'anni dall'ultima (ed unica volta). Tutti a casa e per alcuni è stato addio mesto e tristissimo.
Ventura andrà via, di sua sponte o accompagnato da una buonuscita che non gli farebbe onore. Tavecchio, figlio di una generazione che non conosce il significato della parola dimissioni, probabilmente rimarrà pervicacemente al suo posto. E l’Italia, intesa come intero movimento pedatorio, andrà smantellata e ricostruita dalle fondamenta.
Dopo l’umiliazione contro la Corea del Nord ai mondiali inglesi del 1966, la Federazione decise di chiudere le frontiere per dare nuova spinta al movimento interno fino ad allora pervaso da oriundi e naturalizzati. Anche ieri, qualche istante dopo il triplice fischio di San Siro, alcuni proponevano la medesima soluzione, pur riveduta e corretta.
Ma il mondo nel frattempo è totalmente cambiato segnato da una migrazione di culture e persone tale da riscrivere il concetto stesso di identità nazionale e sportiva.

Esistono le regole comunitarie che non ammettono filtri e strettoie al principio fondamentale della libera circolazione dei lavoratori (e dei calciatori) provenienti dai paesi membri dell’Unione Europea. Con un temerario escamotage si potrebbe temperare il principio predetto con l’imposizione, per ciascuna squadra della massima serie e di quelle inferiori, di schierare nella formazione titolare almeno 4 o 5 giocatori “azzurrabili” o con passaporto italiano. I problemi non mancherebbero anche in questo caso: si creerebbe infatti una bolla speculativa tale da drogare con quotazioni iperboliche il mercato dei migliori giovani italiani di prospettiva.

Le cause del fallimento vengono da lontano. La mancanza di centri federali all’avanguardia e di tecnici idonei ad insegnare, dai pulcini alla primavera, il calcio ed i suoi fondamentali. Manca come il pane lo sviluppo di una cultura che abbini, come criterio di selezione meritocratica, la fisicità alla tecnica di base. Il campionato primavera dovrebbe, come richiesto da più parti, essere profondamente riformato nella struttura rendendolo più competitivo ed idoneo a favorire in modo più agile il passaggio dei giovani al professionismo. Evitando pericolose derive coercitive sarebbe invece auspicabile una politica di incentivi economici a favore di quelle squadre pronte a privilegiare giocatori di casa rispetto a quelli di importazione.

Ed infine l’ultimo anello della catena rappresentato dal commissario tecnico della nazionale. Dovrebbe essere, a differenza di Ventura, una figura capace di sintetizzare, col suo personale appeal e carisma, la somma delle virtù di un movimento che fino a quando non tornerà a fare sistema sarà inevitabilmente esposto ai venti del fallimento. 

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