di
Usul Muad’Dib Ximenes
Ieri
sera un pragmatico ed un sognatore si sono trovati
vicini per guardare insieme il posticipo tra Inter e Roma.
Il
primo si faceva poche illusioni riguardo alla squadra che avrebbe
visto alla ripresa dalla sosta. D’altronde, perché pensare che
sette giorni di vacanza avrebbero potuto sanare limiti e difetti
della squadra vista qualche settimana prima?
Il
sognatore invece sperava che la vacanza potesse sanare i mali del
fisico e della manovra, salvo poi arrendersi alla solita tiritera
lenta, prevedibile e senza sfoghi utili, causa chiusura del traffico
al centro e sulle fasce.
Questi
“due signori” rappresentano idealmente i due modi di essere di
Luciano Spalletti, la cui fede nel 4-2-3-1 di inizio stagione
(ieri un 4-3-3 iniziale anomalo) ha fatto pian piano rima con la
doverosa necessità di cambiare spartito. Mai più Candreva
che toglie luce e spazi a Cancelo sulla stessa fascia. Mai
più Gagliardini nel ruolo di play che gli si addice come quello
del ministro dell’istruzione senza diploma. Mai più Icardi solo
lì davanti e spazio garantito (in panchina) all’improvvido
Santon.
Al
tecnico toscano il compito di trovare la formula giusta partendo
dalle certezze acquisite.
La
squadra nerazzurra soffre il pressing alto avversario anche a causa
di una prima costruzione lenta e aggravata dallo scarsissimo
movimento senza palla dei suoi. Trovare il trequartista giusto
aggiungerà soluzioni ad un team prevedibile ma prima occorrerà far
sì che la palla “arrivi” fino alla trequarti.
Ieri
sera i pericoli maggiori, compresa l’azione del gol, sono nati da
soluzioni a scavalcare la mediana attaccando alle spalle la difesa
avversaria.
Al
netto delle opinioni, restano i numeri che sussurrano una diversa realtà
empirica: malgrado i noti limiti, l’Inter ha tenuto più
palla, ha tirato più volte in porta e, senza Alisson ed
il disvalore Santon, avrebbe portato via, con merito, l’intera
posta.
Malgrado
tutto, il bicchiere è mezzo pieno.
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